Le bollicine invadono Vinitaly 2018 Successo incontrastato del Prosecco

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La crescente presenza di professionisti ha caratterizzato l’edizione 2018 di Vinitaly e testimonia il consolidamento del ruolo della fiera a livello internazionale, con buyer selezionati e accreditati da tutto il mondo. La top ten delle presenze assolute, sul totale di 32.000 buyer accreditati da 143 nazioni, ha visto primi gli Stati Uniti d’America seguiti da Germania, Regno Unito, Cina, Francia, Nord Europa (Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca), Canada, Russia, Giappone, Paesi Bassi insieme al Belgio.
L’edizione n.52 di Vinitaly è come sempre occasione per fare il punto sul nostro mercato consentendo di esaminare tendenze e orientamento dei gusti dei consumatori.
Secondo i dati elencati dal Corriere Vinicolo nell’analisi dell’export italiano si constata che la spumantizzazione ha incassato nel 2017 un ennesimo anno di crescita sia in valore, con un più 14% corrispondente a circa 1,3 miliardi, sia in milioni di ettolitri prodotti esportati (3,7milioni) pari ad un più 9%. L’orientamento dei consumatori, tra questi i millennial , fa sì che il comparto spumanti si attesti ben saldamente come terza punta delle nostre esportazioni, superando i bianchi fermi che tendenzialmente descrescono, mentre in lieve crescita si attestano i rossi. I principali mercati assegnano il primo posto da anni ormai alla Gran Bretagna seguita da Stati Uniti e Russia, in forte ripresa. Se poi si guarda – dati dell’Osservatorio del vino – a ciò che fanno gli altri grandi esportatori di spumanti nel 2017, si nota che la Francia cresce, ma meno dell’Italia (+9,6% in valore, +8,5% in volume) e che la Spagna cresce in volume più dell’Italia (+18%), ma con prodotti dal costo più basso: la progressione in valore è quindi minore (+10%) rispetto all’Italia.
I dati del consumo di Prosecco in particolare, sempre secondo le classifiche pubblicate dal Corriere Vinicolo, sono passati nella sola Inghilterra, in un decennio, dal 3 al 56% . Un salto stratosferico che ha comportato però anche il rischio di un certo appiattimento della qualità a favore della quantità. Oggi il Prosecco rappresenta da solo circa il 70% di tutti gli spumanti DOC e DOCG e poco meno del 60% rispetto all’intero comparto spumantistico (ben 670 milioni di bottiglie a fine 2017 con un più 9% rispetto al 2016).
Cosa conquista in questo vino così apprezzato in Italia e all’estero? Accanto al gusto accattivante, alla finezza della versione spumante ConeglianoValdobbiadene Prosecco Superiore Docg o Asolo Docg sino alla più facile e giovanile versione frizzante, alla versatilità degli accostamenti e alla facilità di beva, proponibile in molte occasioni, certamente anche il fascino di una lunga storia vitivinicola che, a partire da metà Ottocento, conquista i mercati grazie alle prime esperienze di spumantizzazione.

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Antiche testimonianze fanno risalire le uve di Prosecco al vino Pucino dell’Antica Roma. Plinio il Vecchio lo descrive come uno dei grandi vini che imbandivano le tavole dei dignitari romani. Alcuni autori ritengono che il Pucino derivi dal vitigno “Glera”, un’uva a bacca bianca coltivata ancor oggi nelle zone vicine a “Prosecco”, un paesino dell’Italia settentrionale vicino a Trieste, sul pendio carsico antistante il mare, dove potrebbe aver avuto origine l’uva. Ma fu nel Cinquecento che si consolida l’affermazione del Prosecco grazie al vescovo triestino Pietro Bonomo, che associò il Castellum Nobile Vino Pucinum al Castello di Prosecco, vicino alla città di Trieste. Le citazioni storiche proseguono nei secoli, allorchè il Prosecco giunge sulle colline tra Valdobbiadene e Conegliano, dove peraltro la coltivazione della vite risale a tempi ben più antichi, attestata in documenti risalenti all’XI secolo e successivi, come dimostra nel 1542, una nota del Magnifico Consiglio di Conegliano, riportata nel volume “Dei vitigni italici” curato da Antonio Calò e Angelo Costacurta, che nel 1542 affermava “…di quanta importanza sia il vender vini di monte di questo territorio quali per la maggior parte sono allevati et comprati dai tedeschi” e nel 1606 in una relazione letta da Zaccaria Contarini podestà e capitano di Conegliano si legge che “ cavandosi dai monti quantità di vini dolci e di altre sorti eccellentissimi dei quali se ne vanno in gran parte in Alemagna e fino nella corte di Polonia venendo gli stessi tedeschi ..con i propri carri a levarli pagandoli fino a ducati quaranta e cinquanta la botte”. Ciò che anticipa di quattro secoli le “magnifiche sorti e progressive” del vitigno e del vino da esso derivato che ancora nel 1754 Aureliano Alcanti nel suo Roccolo Ditirambo descrive come uno dei migliori prodotti in assoluto. Nel 1874, sempre sfogliando il già citato e ampiamente documentato volume, Vianello e Carpenè, parlano della diffusione del vitigno Prosecco che risulta coltivato in 4 comuni: 1 nel distretto di Conegliano che ne produceva 798 ettolitri, 2 nel distretto di Valdobbiadene per 2.270 ettolitri e 1 in quello di Asolo per 641 ettolitri per un totale di 3.700 ettolitri contro i 23.000 di Verdiso, i 14.500 di Bianchetta e i circa 4.000 di Boschera e mentre il Verdiso di S. pietro di Feletto valeva 60 lire per ettolitro, il Verdiso e il Prosecco di Valdobbiadene ne quotavano 37 e negli stessi anni il Marzemino ne quotava 75. Nel 1876 con l’istituzione della Scuola Enologica di Conegliano e grazie all’azione di autentici pionieri della vinificazione tra cui Antonio Carpenè Malvolti, prende avvio la moderna storia del Prosecco, con la selezione costante delle convarietà per adattarne la coltivazione nelle migliori condizioni di esposizione sino a giungere ad isolare un tipo specifico di Prosecco, il Balbi, selezionato da Giulio Balbi Valier e considerato di alta qualità. In effetti le varietà analizzate e coltivate nel distretto Conegliano – Valdobbiadene – Asolo sono diverse, tanto che i contadini le racchiudevano sotto la dicitura Prosecche o Prosecchi : si va dal Prosecco tondo al Prosecco lungo, dal Prosecco bianco al Prosecco dal pecol rosso. Con l’istituzione nel 2009 della DOCG Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene e della DOCG Asolo, che necessitano di una particolare tutela, è stato adottato in via ufficiale il sinonimo “glera” in modo da non confondere fra loro vitigno e vino, tutelando in tal modo la dicitura Prosecco come denominazione territoriale.

Maria Luisa Alberico

 

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La Cà Nova di Barbaresco

La Cà Nova di Barbaresco
Un genuino stile personale

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La bella cascina, già presente in una mappa napoleonica del territorio di Barbaresco risalente al 1798, è da allora tradizionale produttrice dei vini locali; i tre fratelli, Pietro, Giulio e Franco Rocca
conducono e amministrano, nel rispetto della loro storia familiare e dell’ambiente, i loro 15 ettari vitati, coltivati per oltre l’80% a Nebbiolo per la produzione di Barbaresco, il resto a Barbera e Dolcetto, senza escludere una mordida e profumata Grappa.
La produzione si attesta sulle 60.000 bottiglie, molte delle quali esportate. Vanto dell’azienda i due crus prestigiosi: il Montestefano da vecchie vigne, profonde marne blu, radici che si innervano in questa terra compatta e ricca di minerali; e Montefico, con la sottodenominazione Bric Mentina per ricordare Clementina, la precedente proprietaria di quel prezioso appezzamento.
Entrambi i vini, abbiamo potuto degustare per entrambi il 2015, evidenziano tutta la nobiltà del tannino che consente la lunga evoluzione: già ampi e ben armonici, ricchi di promesse e di suggestioni al palato. Si ha l’impressione di entrare in contatto con il Barbaresco vero, personalissimo, burbero, piacevolmente dialettale.

Azienda agricola la Cà Nova, via Casa Nuova 1, Barbaresco (Cn), tel. 0173/635123
Maria Luisa Alberico

Bacco & Orfeo

Bacco & Orfeo: Glorioso connubio

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Tredicesima edizione del ciclo di Concerti – Aperitivo Bacco & Orfeo che si svolgeranno ogni domenica a partire dall’11 marzo e sino al 15 aprile in una doppia versione: al mattino nella chiesa di San Giuseppe ad Alba e nel pomeriggio nella chiesa di Santa Chiara a Bra, con programmi diversificati e ampiamente articolati.
La rassegna, particolarmente apprezzata dal pubblico, intende offrire, nei corso dei dodici concerti, una sintesi di “gusto” tra arti sicuramente consonanti: quella musicale e quella enologica.
Prestigiosi gli interpreti, variegata l’offerta musicale, selezionati gli assaggi al termine delle esibizioni, con degustazioni guidate di vini del territorio e non solo.
Il progetto ha la direzione artistica di Giuseppe Nova, la consulenza artistica di Giacomo Platini e il coordinamento musicologico di Dino Bosco ed è sostenuto della città di Alba, di Bra e della Regione Piemonte, oltre a fruire della collaborazione di associazioni e centri culturali, enti del turismo e associazioni vinicole.
Il primo concerto ha visto la partecipazione di uno dei massimi interpreti del pianoforte, il maestro Bruno Canino in duo con il maestro Giuseppe Nava al flauto. Bruno Canino ha collaborato nella sua lunga carriera con artisti della statura di Severino Gazzelloni, Salvatore Accardo, Viktoria Mullova ed è chiamato a tenere corsi di perfezionamento in tutto il mondo
Il maestro Nava vanta una brillante carriera come solista che lo ha visto calcare palcoscenici internazionali, ricevendo riconoscimenti prestigiosi come il Premio per la Musica da Camera a Kyoto.
Il programma che ha impegnato i due artisti ha spaziato nella prima parte nel clima romantico del primo Ottocento, con la Serenata in re maggiore op. 8 del giovane Beethoven e tre vivaci valzer di Fryderyk Chopin; più evanescenti e astratte le atmosfere e le composizioni di Francis Poulenc, Gabriel Fauré e Franz Doppler, musicisti operativi tra fine Ottocento e la metà del Novecento.

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Al termine di questo primo appuntamento, la Cantina Perusini di Ronchi di Gramogliano (UD), iscritta da Veronelli nel Gotha dei vignaioli storici italiani e condotta oggi dalla signora Teresa, storica dell’arte ed appassionata viticoltrice, ha proposto in degustazione tre tipiche varietà dei Colli Orientali del Friuli: Ribolla Gialla, ventaglio gustativo particolarmente apprezzabile, un corposo Chardonnay e un gradevole Merlot con i sentori tipici del varietale.

Maria Luisa Alberico